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Il burnout è un fenomeno che è stato indagato a partire dagli anni 80 per le seguenti categorie professionali: insegnanti, educatori assistenti sociali, infermieri, operatori sociosanitari, ma anche, a partire dal periodo post-pandemico, per psicologi, medici, specializzandi e altre persone operanti nel contesto sanitario. Il fenomeno riguardava, quindi, persone che prima di allora avevano affrontato il proprio lavoro con grande impegno, entusiasmo e una forte dose di idealismo che andavano incontro ad un esaurimento emotivo, ovvero uno stato in cui ci si sente emotivamente esausti. La persona non riesce più a immedesimarsi negli altri né a pensare e agire in modo empatico. L’individuo va incontro a un processo di progressiva e rapida “depersonalizzazione”, un termine specialistico, con il quale, si intendono soprattutto le percezioni e le emozioni negative nei confronti degli utenti in affidamento o verso i collaboratori nell’ambito lavorativo, non preesistenti all’inizio dell’incarico; un cambiamento, cioè, nell’atteggiamento verso le altre persone che costituiscono l’ambiente di lavoro, che a loro volta percepiscono la persona che interagisce con loro in modo diverso: Anche la persona stessa si sente «diversa», con ridotta efficienza personale, ovvero, l’individuo si sente meno efficiente a livello di competenza professionale e, di fatto, lo è in misura sempre maggiore: ha la sensazione di non poter dare tutto ciò che in realtà è nelle sue facoltà e che, considerando le sue qualifiche, ci si dovrebbe e ci si potrebbe aspettare da lei. Prima o poi, anche nell’ambiente di lavoro e familiare ciò viene notato, poiché una persona che ha questo tipo di sensazione sbaglia più facilmente ed è sensibilmente più lenta nello svolgimento dei suoi compiti. I primi sintomi sono iniziale senso di demotivazione, primi segni di ansia, disturbi nel sonno, difficoltà a concentrarsi, difficoltà a prendere decisioni, irritabilità. L’eziopatogenesi è spesso multifattoriale, dovuta ad aspetti di vulnerabilità personale che si intersecano con situazioni specifiche legate al contesto lavorativo. Vi sono alcuni indizi secondo cui il rischio di burnout è maggiore nelle persone con determinati tratti della personalità (locus of control esterno). Il rischio di entrare in un processo di burnout è quindi particolarmente marcato nelle persone che affrontano i loro compiti con un’elevata partecipazione emotiva e un forte impegno. Un tale atteggiamento può comportare profonda frustrazione e delusione, dato che nel mondo del lavoro di oggi conta esclusivamente il risultato, l’«outcome», mentre si bada ben poco all’impegno emotivo e personale. Diversi autori hanno dimostrato che un forte carico di lavoro e la pressione del tempo si associano a una più frequente comparsa di burnout (Schulze, 2005). Il nostro livello di stress aumenta in proporzione all’aumento di mole di lavoro che dobbiamo sbrigare in un tempo sempre più ristretto. Se tali condizioni si limitano a un breve periodo, la maggior parte di noi è in grado di sopportarle, ma qualora una simile situazione dovesse perdurare, prima o poi chiunque entrerà in un processo di burnout. Esistono determinate professioni o determinati settori la cui forte correlazione con un rischio di burnout è molto evidente. Ciò sembra dipendere dalle esigenze specifiche e i conflitti di ruolo nell’ambiente di lavoro comportano un elevato fattore di rischio. Per conflitti di ruolo si intendono quelle situazioni in cui, in riferimento al profilo professionale, le aspettative nei confronti di una persona sono in parte contraddittorie. Un altro importante fattore di rischio per il burnout sono i compiti non definiti chiaramente, i posti o i profili dei requisiti descritti male o non chiaramente. Se si avvertono i primi sintomi è utile chiedere aiuto, senza provare paura o vergogna, rivolgersi a uno psicoterapeuta o medico curante, valutare un periodo di riposo (che si tratti di ore, giorni, settimane). Non colpevolizzarsi, essere consapevole che è una cosa che può succedere e che tutti siamo vulnerabili., avere verso se stessi un atteggiamento non giudicante ma gentile. Malgrado la vita e i ritmi della quotidianità odierna siano fagocitanti è opportuno gestire il proprio tempo con attività e relazioni che siano in grado di nutrire e arricchire la nostra mente, stabilendo confini interpersonali basati sull’ assertività, non dimenticandosi mai di sé stessi, perché il nostro tempo libero nutre l’energia che utilizziamo a lavoro. E’ utile in forma preventiva praticare sport e mantenere abitudini sane, limitando l’uso di dispositivi tecnologici, monitorando sempre a propria sfera emotiva e il proprio livello di energia psichica. Bibliografia e spunti di approfondimento Addorisio, B. (2020). Le tradizioni della regolazione emozionale e dell’intelligenza emotiva nell’abuso dei Social Network (Master's thesis, Università di Parma. Diparimento di Medicina e Chirurgia). Berger M, et al. Positionspapier der Deutschen Gesellschaft für Psychiatrie, Psychotherapie und Nervenheilkunde (DGPPN) zum Thema Burnout. Berlin. 2012. www.dgppn.de Bishop SR. 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dott.ssa Vallillo psicoterapeuta articoli
Febbraio 2024
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